C’è una buona cultura dell’addestramento dei cani e una cattiva.
Quella buona è quella promossa da persone come Biagio D’Aniello: ricercatore scientifico e addestratore, che col suo cane ha salvato numerose persone dall’annegamento.
La cattiva cultura dell’addestramento è quella basata sulla violenza, la coercizione, la mancanza di conoscenza dell’etologia del cane. La conosco bene perché ci sono nato, perché ho visto i suoi fallimenti, i cani rovinati, l’arroganza e la presunzione umana, i problemi psicologici e sociali in cui versano certi personaggi, i quali sfogano sui cani le proprie frustrazioni e il bisogno di supremazia.
A chi mi chiede un consiglio su come cominciare dico: diffida solo della violenza, della coercizione, di chi pensa che il cane vada semplicemente sottomesso, addotto.
Perché oltre alla motivazione agonistica, che il cane indubbiamente ha in quanto mammifero, ce ne sono altre, come la motivazione a cooperare, a prendersi cura, a esplorare, a giocare, a oziare, a proteggere, a risolvere problemi, meglio se in compagnia.
C’è la socialità: fondamentale bisogno che può davvero esprimersi solo con i cani in libertà e assolutamente senza guinzaglio.
Cerca inoltre di capire in che misura il cane stesso possa insegnarti.
Va’ ovunque, non ascoltare solo me e non sostare solo in ThinkDog. Soprattutto se ti piace tanto: liberati dagli schemi.
Esplora, confrontati con chiunque abbia la capacità di dialogare, anche partendo da posizione opposte alle tue.
Non rifiutare l’addestramento. È una bellissima parola, “addestrare”: rendere destro, abile. La disciplina è alla base delle arti e della maestria. Ciò che devi rifiutare non è l’addestramento, ma chi opera in modo violento, chi ama la coercizione e la sottomissione del cane.
Ama la libertà a tal punto da chiedere al tuo cane di insegnarti come si fa a diventare individui liberi.
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Dalla scrivania di Angelo Vaira